Aria di riforme nel neonato governo. Giorgia Meloni vuole infatti segnare con decisione un punto di rottura con il passato e intervenire in alcuni ambiti. Dopo la sicurezza, tra le polemiche del tanto discusso decreto anti-rave, potrebbe essere il turno delle autonomie regionali. L'argomento è un vecchio pallino del neo ministro agli Affari regionali e alle Autonomie, il leghista Roberto Calderoli, che è tornato a parlare di "Autonomia differenziata". Un provvedimento del genere avrebbe di sicuro effetto anche sulla scuola. Ecco di cosa si tratta.
Autonomia differenziata: adesione delle regioni su base volontaria
Si torna dunque a parlare di regionalizzazione, dopo l'ultimo tentativo fatto dal ministro Bussetti durante il governo Conte I su proposta di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Calderoli ha incontrato il 2 Novembre i presidenti di alcune regioni interessate al provvedimento, per iniziare a strutturare la proposta.
Anche il nuovo ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara sembra avere a cuore la questione, avendo già incontrato gli assessori regionali all'istruzione e alla formazione per parlare di autonomia.
L'obiettivo di Calderoli è quello di iniziare subito la procedura per arrivare al piano di attuazione nell'ottobre del 2023, e completare il tutto entro la fine della legislatura.
Come stabilito dall'art.117 della Costituzione, l'adesione all'autonomia è su base volontaria. Calderoli sta quindi preparando un modello per quelle regioni che vorranno fare richiesta di autonomia in merito a ben precise materie di economia differenziata. Non cambierà invece nulla per le regioni che vorranno rimanere nella condizione attuale.
Il ministro Calderoli ha già incontrato parte dei governatori e ha in programma di continuare a farlo nelle prossime settimane. Ha inoltre lanciato l'invito, rivolto ai presidenti regionali, di manifestare loro stessi l'interesse per l'autonomia, specificando le materie di economiche di riferimento.
Autonomia differenziata e sistema scolastico: cosa succederebbe alla scuola?
Con l'autonomia differenziata la regione potrebbe prendere decisioni su alcuni ambiti senza la necessità di passare dal governo centrale: territorio, suolo, ambiente, ma anche scuola.
In caso di autonomia regionale, il campo dell'istruzione andrebbe dunque incontro ad alcuni cambiamenti, con differenziazioni in merito a procedure di reclutamento, concorsi, formazione, retribuzione e mobilità del personale scolastico, ma anche per ciò che riguarda le esperienze di Pcto e l'offerta formativa rivolta agli studenti.
Possibili cambiamenti anche ai sistemi di valutazione (sia dei docenti che del personale).
Governatori del Nord entusiasti, scettici i sindacati: i pro e i contro dell'autonomia differenziata
Come prevedibile, la proposta ha entusiasmato i governatori del Nord: Fontana, Zaia e Cirio (rispettivamente governatori di Lombardia, Veneto e Piemonte) hanno apprezzato la tempestività di Calderoli nel prendere la questione.
L'idea condivisa è che dare autonomia alle regioni su più materie permette di intervenire in maniera più rapida ed efficace, in base alle particolari esigenze del territorio. Non un modo di affrancarsi dal governo centrale dunque, ma un modo per velocizzare le decisioni e renderle più efficienti.
Viceversa i sindacati hanno sempre accolto con scetticismo le istanze della volontà di autonomia regionale. La paura è quella dell'acuirsi delle disuguaglianze. Si rischierebbe infatti che i ceti meno abbienti rimangano bloccati nella loro situazione di partenza, con i ricchi che finirebbero in una posizione di ulteriore privilegio.
Un altro problema potrebbe insorgere dal gap che si verrebbe a creare tra studenti di regioni diverse, in base all'efficienza delle singole istituzioni scolastiche.
Va in ogni caso detto che già adesso le competenze degli studenti variano sensibilmente in base alla regione di provenienza: il rischio è dunque quello di un peggioramento una volta depotenziato il legame tra istruzione e governo centrale.