A distanza di giorni dalla sentenza del Tribunale di Roma, si continua a parlare del collaboratore scolastico assolto per le molestie a una studentessa minorenne. Il caso ha generato delle prevedibili polemiche per la decisione del giudice, considerata da più parti incomprensibile. E per questa ragione, la Procura di Roma ha deciso di impugnare la sentenza in appello.
Bidello molesta una studentessa: assolto perché c’è stato “intento scherzoso”
Gli avvenimenti che hanno portato alla sentenza di assoluzione del bidello sono ormai noti. Una studentessa ha riferito in aula di essere stata palpeggiata dal collaboratore scolastico, mentre saliva le scale con un’amica per arrivare in classe. La molestia ha portato alla denuncia e al successivo processo. Dove però il bidello è stato assolto perché il giudice ha accolto la tesi difensiva: si sarebbe trattato di un atto scherzoso, definito come “una manovra maldestra”, e della durata di pochi secondi (da un minimo di 5 a un massimo di 10).
In sostanza, il Tribunale di Roma ha ritenuto assente l’elemento soggettivo, ossia il dolo da parte del collaboratore scolastico, dal momento che il palpeggiamento sarebbe stato fugace. Gli elementi critici della sentenza sono molti e riportati all’interno dell’impugnazione da parte del Pubblico Ministero. Al netto di questi, però, colpiscono le parole della ragazza dopo l’assoluzione:
"Per i giudici c’è stato intento scherzoso? Il bidello mi ha preso alle spalle senza dire nulla. Poi mi ha infilato le mani dentro i pantaloni e sotto gli slip, mi ha palpeggiato il sedere e poi mi ha tirato su tanto da farmi male alle parti intime. [...]. Ho provato tanta rabbia. Questa non è giustizia. Inizio a pensare di aver sbagliato a fidarmi delle istituzioni perché mi sono sentita tradita due volte"
E il problema è proprio questo. L’avvenimento e la successiva sentenza potrebbero costituire un precedente per cui una denuncia di molestie sarebbe comunque inutile.
Dalle critiche della politica e della società al trend #10secondi in difesa della ragazza
In risposta alla decisione del giudice di Roma, sui social network Paolo Camilli ha lanciato il trend #10secondi. L’attore si tocca il petto per 10 secondi, un tempo che di certo non può essere considerato breve, soprattutto in una situazione di molestia sessuale. Per di più ai danni di una ragazza minorenne.
Ma le critiche sono arrivate anche dalla politica e dalla società. Per la senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Cucchi, la sentenza
"sminuisce tutte le battaglie in difesa delle donne vittime di violenza, stabilendo una sorta di durata minima per le violenze. [...] La scuola dovrebbe essere un luogo sicuro, dove si dovrebbe insegnare a riconoscere e abbattere le violenze di genere e le discriminazioni. È questa la giustizia?"
Una posizione del tutto in linea con quanto sostenuto anche dalla scrittrice Michela Murgia, che però aggiunge un ulteriore livello di interpretazione. Secondo Murgia molestia, stupro e violenza sessuale non sono mai atti di puro desiderio ma atti di potere:
Il principio dell’abuso di potere è che il consenso dell’altra persona non conta niente e viene ignorato. Invece che considerare cosa lei volesse, i giudici hanno valutato cosa lui voleva e non voleva. Come glielo dite domani a vostra figlia che deve denunciare perché lo Stato la proteggerà?
Sentenza di assoluzione impugnata in appello: le ragioni della Procura
Come abbiamo accennato in introduzione, la Procura di Roma ha impugnato in appello la sentenza del giudice che ha assolto il bidello per la molestia ai danni della studentessa. La tesi di fondo è che il Tribunale di Roma avrebbe travisato la ricostruzione dell’episodio nel sostenere la fugacità del toccamento, quasi uno sfioramento.
Così non è stato, secondo i PM, l’amica che ha testimoniato e la ragazza stessa vittima di molestia. Per il Pubblico Ministero, non è trascurabile un tempo compreso fra i cinque e i dieci secondi, ma si tratta di uno soltanto degli elementi che i giudici non hanno considerato. Oltre alla durata del palpeggiamento, infatti, andrebbe considerata anche l’eccessiva confidenzialità del bidello, che in passato avrebbe chiamato la ragazza “amore” e “mia moglie” in più occasioni.
Inoltre, lo stesso tribunale aveva riconosciuto come la condotta del collaboratore integrasse il reato di violenza sessuale. La “breve” durata e la mancanza di dolo avrebbero fatto da base per l’assoluzione. Che sia necessario un ricorso in appello per un caso di questo tipo e, soprattutto, in risposta a una sentenza di questo tipo, non è un bel segnale. Allo stesso tempo, la speranza è che il nuovo processo sappia considerare attentamente tutti gli elementi e fare, per una volta, giustizia.