Una mamma finlandese fugge da Siracusa dopo aver iscritto i propri figli a scuola e aver saggiato l'arretratezza del sistema scolastico italiano. Sembra la trama di un film, ma è invece la triste storia vera di Elin Mattsson, quarantaduenne finlandese che aveva scelto di lavorare e vivere in Italia prima di spostarsi in Spagna.
La donna finlandese, mamma di quattro figli, ha pubblicato una lettera di addio, restituendo un ritratto impietoso del sistema scolastico italiano. Una testimonianza che impone una doverosa riflessione, per capire realmente cosa serve alla scuola italiana per adeguarsi ai tempi. Qui il testo integrale.
Come funziona la scuola in Finlandia?
Il disagio della mamma finlandese in fuga da Siracusa nasce innanzitutto da una profonda differenza tra il sistema scolastico italiano e quello nord europeo. Due stili di vita completamente diversi che si riflettono anche nella scuola e nell'istruzione.
In Finlandia la scuola primaria dura nove anni e accompagna gli studenti dai sette ai sedici anni di età. Si passa poi a una scuola secondaria superiore della durata di tre anni, prima di approdare all'università.
La differenza non è solo organizzativa. Cambia anche l'impostazione didattica:
- orario scolastico ridotto;
- nuove tecnologie;
- insegnamenti trasversali;
- grande attenzione all'accessibilità e all'utilizzo di linguaggi semplici e concreti.
Le scuole superiori in Finlandia si ispirano agli atenei, con meno compiti, accorpamenti di materie e docenti centrali nel processo didattico. Le bocciature riguardano le singole materie e un'insufficienza non va a impattare sull'intero anno scolastico.
La madre finlandese in fuga da Siracusa e la scuola italiana: i punti critici della lettera d'addio
Non bisogna compiere l'errore di bollare la storia della madre finlandese in fuga da Siracusa come un singolo caso e rifugiarsi nella difesa a oltranza della nostra scuola. Un punto di vista così lontano dal nostro può infatti rivelarsi prezioso e, seppur critico, fondamentale per costruire una scuola migliore.
A traumatizzare la madre finlandese è stata innanzitutto la poca attenzione della scuola italiana al benessere degli studenti: aule piccole e poco attrezzate, poco spazio per fare muovere i bambini e poco tempo dedicato al gioco e ad attività all'aperto. Poche anche le pause. Criticata inoltre l'impostazione che prevede che i bambini rimangano tutto il giorno nella stessa aula.
La madre finlandese descrive la scuola italiana come un ambiente caotico, pieno di adulti che corrono da una parte all'altra e con bambini arrabbiati e infelici. Elin Mattsson critica anche le poche attività pomeridiane, che aiutano i bambini a essere indipendenti e garantiscono ai genitori la possibilità di organizzare meglio la propria giornata lavorativa.
Il problema, come si può notare, è legato all'impostazione della scuola in sé. Le criticità riguardano infatti soprattutto gli aspetti organizzativi. A non funzionare è proprio il concetto di scuola, prima ancora che la proposta didattica. Una riflessione sulla scuola dovrebbe partire dall'esigenza di renderla un luogo positivo, che possa stimolare ragazzi e ragazze e farli essere felici: la trasmissione di abilità e conoscenze è qualcosa che viene dopo.
Le testimonianze: una questione pedagogica e di mentalità
Alcune testimonianze vanno a confermare quanto espresso dalla mamma finlandese. Mario Maviglia, ex provveditore a Brescia racconta che già anni fa una studentessa sedicenne finlandese aveva trascorso, lamentandosene, un anno in un liceo bresciano.
La scuola, pur ben apprezzata nel territorio, risultava indigesta alla studentessa straniera che lamentava un'esasperazione degli studenti, un atteggiamento troppo competitivo e un esagerato carico di lavoro individuale, con poco spazio alle attività di gruppo.
La pedagogista Cinzia Mion, anche ex DS, sostiene le dichiarazioni della madre finlandese anche alla luce delle recenti scoperte neuroscientifiche. Apprendimento e movimento sono infatti strettamente correlati e le aree del cervello coinvolte nelle attività scolastiche coincidono con quelle usate per il movimento. In sostanza, movimento e gioco libero favoriscono lo sviluppo delle connessioni neuronali e dovrebbero quindi essere maggiormente considerati nella didattica.
Queste considerazioni devono spingere a ripensare il modo di fare lezione, le attività proposte e il rapporto tra lezione, gioco e movimento. Tutto passa però dalla formazione dei docenti: sono infatti gli insegnanti a dover imprimere un cambiamento alla didattica.
Sempre secondo Mion, la formazione degli insegnanti italiani è infatti segnata da una profonda spaccatura tra teoria e pratica che porta a una riproposizione della didattica tradizionale ricevuta durante il proprio percorso scolastico. Una sterile rincorsa al completamento di programmi vecchi e non adeguatamente rielaborati dalle istituzioni.
Cosa può insegnare la storia della mamma finlandese alla scuola italiana
Bisogna, in definitiva, che la storia della mamma finlandese in fuga da Siracusa sia un monito. Non una guerra di posizione tra due modi diversi di intendere l'istruzione, ma una presa di coscienza su cosa effettivamente non funziona nella scuola italiana, che seppur dotata di grande tradizione, deve riuscire ad adeguarsi ai tempi che cambiano.
La scuola deve infatti sapersi adattare ai bisogni delle nuove generazioni. Insegnare a pensare, ad affrontare la vita. Coltivare e diffondere una pratica che possa garantire l'accesso alle nuove conoscenze che non sia però una mera riproposizione di idee e teorie.
La storia di di Erin Mattsson non deve nemmeno spingere il governo e il Ministero a pensare che copiare gli altri sia una soluzione: è giusto che ogni paese e ogni cultura mantengano una propria identità, anche nelle istituzioni scolastiche. È però altresì giusto riconoscere criticità e arretratezze, per tornare a conferire alla scuola italiana appeal e rigore. Rimanere uguali a sé stessi non è sempre la soluzione migliore e questo vale anche per la scuola, che deve evidentemente cambiare in alcuni aspetti per diventare migliore.